venerdì 14 giugno 2013

Il secondo principio della termodinamica - Quando fisica ed economia si incontrano

È uno dei più importanti fondamenti della fisica classica, ma il suo impatto sulla cultura va ben oltre l'ambito scientifico: sto parlando del secondo principio della termodinamica (questo link in inglese è più completo), quello che a livello popolare è noto nella formulazione secondo cui il disordine di un sistema può solo aumentare. Ed effettivamente è questa anche la formulazione più accettata attualmente: se l'entropia viene presa come misura del disordine di un sistema, allora si ha che essa è una funzione monotona non strettamente crescente, ossia può restare stabile o aumentare, ma non diminuire. Mi perdoneranno i miei colleghi laureati in fisica per questa eccessiva semplificazione, ma credo che questa mia riformulazione non perda il senso fondamentale del secondo principio.
Ho detto che questa è la formulazione più accettata attualmente: storicamente ne sono state fatte altre, tra cui le più famose sono quella di Clausius, Kelvin-Planck e Carathéodory: quest'ultima addirittura è stata composta su basi puramente matematiche, ossia non basate su alcuna fenomenologia fisica. Ovviamente si può dimostrare che tutte queste formulazioni sono equivalenti a quella data in precedenza. E potrei citare un sacco di implicazioni (reversibilità dei processi e freccia del tempo) e paradossi (per esempio, quelli del "Diavoletto di Maxwell" e di Gibbs), ma non è di fisica che voglio qui parlare: se il secondo principio fosse esclusivamente legato alla termodinamica, non vi avrei dedicato un post su questo blog.
La sua importanza in fisica è fondamentale (basta pensare al numero di versioni in cui esso è formulato) ma lo è in tutte le scienze, a partire dalla chimica, ma anche in altri campi, come l'economia e la filosofia, in particolare nella formulazione di Kelvin-Planck: "è impossibile realizzare una trasformazione ciclica il cui unico risultato sia la trasformazione in lavoro di tutto il calore assorbito da una sorgente omogenea". Detto in altri termini, questo implica che in ogni trasformazione di energia (ad esempio, nell'uso di combustibili fossili, ma anche di fonti rinnovabili) solo una parte viene convertita in lavoro utile, mentre il resto è disperso e non più riutilizzabile: due esempi che noi vediamo tutti i giorni sono le lampadine ad incandescenza e i motori a scoppio, che entrambi nel loro funzionamento dissipano un enorme quantità di calore.
Poiché la nostra civiltà si basa sulle trasformazioni di energia, e in un certo senso la capacità di progredire e crescere dipende dalla possibilità di renderle sempre più efficienti (idealmente, senza dissipazioni), tale principio pone seri limiti al concetto di crescita, fondamentale in economia. Per dirla con una canzone dei Muse (che al secondo principio hanno dedicato un album), 


"Ogni processo tecnologico e naturale procede in maniera tale che l'energia disponibile rimanente decresce. [...] Non è possibile creare nuova energia [...] Un economia basata su una crescita infinita non è sostenibile".
Ora, a parte lo stile dubstep (da quattordicenni truzzi) della canzone (che comunque non è ottenuta tramite PC ma solo con i classici strumenti di distorsione), mi colpisce che un gruppo pop scelga di dedicare un intero album al secondo principio della termodinamica.
Ma tornando all'economia, vi è un'intera corrente di pensiero al suo interno, detta Economia Ecologica (qui il link inglese, più completo) che, muovendo proprio da questi concetti e modellizzando i sistemi economici come un sistema termodinamico, evidenzia il fatto che l'attuale teoria economica, basata sul concetto di crescita infinita, è in contraddizione con quanto ci insegna il secondo principio della termodinamica, che invece si focalizza sulla finitezza e sulla non completa ripetibilità in perpetuo delle trasformazioni energetiche, e quindi dei processi economici. Questa è la base concettuale della teoria della decrescita, e di tutti i lavori di Latouche, e vi sono entrato in contatto la prima volta quando Zurota mi fece vedere il libro The entropy law and the economic process, di Nicholas Georgescu-Roegen, un  lavoro pioniere per tutto questo filone di pensiero.
L'attuale economia, invece, ha nella crescita economica il suo fondamento principale: il debito è sostenibile solo perché si può ipotizzare che in futuro la ricchezza sarà sempre maggiore, e quindi sarà sempre possibile coprire le esposizioni economico-finanziarie. La matematica finanziaria, ad esempio, per la previsione del comportamento degli andamenti di borsa, si basa sul metodo di Bachelier, che modellizza i mercati finanziari e l'andamento dei prezzi secondo il modello del moto browniano, fondamentale anch'esso in fisica e che ha un corrispettivo nel moto di un granello di polvere in aria. La cosa buffa è un altro esempio di moto browniano è quello descritto da uno sbronzo sulla via di casa: insomma, l'andamento dei mercati finanziari e un ubriaco hanno forti analogie... Di questo confronto e delle castronerie che ho scritto spero che i miei amici economisti e statistici possano avere venia.
Ma perché ho citato questo esempio? Il secondo principio della termodinamica vale per sistemi macroscopici, ma non per quelli microscopici, e il moto browniano è proprio un esempio di tale sistema. Allo stesso modo, l'andamento dei mercati finanziari non tiene in alcun conto dei limiti dati dalla finitezza delle risorse: sembrano in assoluta opposizione. La cosa curiosa è che anche in fisica esiste tale apparente contraddizione, detto paradosso di Loschmidt. La logica è che ogni sistema macroscopico sia composto da più sistemi microscopici in relazione tra loro, e quindi spiegando il comportamento di un elevato numero di questi e le loro interazioni dovrebbe essere possibile interpretare i sistemi su grande scala: poiché in fisica i sistemi microscopici non osservano il secondo principio, non si capisce come quelli macroscopici dovrebbero, se si prova a derivare tale comportamento a partire dalle piccole scale. In fisica tale paradosso è risolto se si inserisce un ulteriore condizione: esiste uno stato passato in cui l'entropia era minima, e questo è identificato col Big Bang, da cui ha tratto origine il nostro universo.
La contraddizione quindi tra economia ecologica e classica potrebbe essere risolta se vista nell'ottica della differenza tra sistemi macroscopici e microscopici, e quindi definendo uno stato iniziale in cui le risorse disponibili erano massime (come analogo dell'entropia al minimo)? Non so neanche se sto dicendo qualcosa di sensato, se davvero fossi sicuro di ciò non scriverei su un blog ma su prestigiose riviste internazionali, però in fondo le domande a volte sono affascinanti tanto quanto le risposte, e questo secondo me è uno di tali casi.
Fisici, economisti, statistici... Insomma, ho chiesto scusa a tanti con questo post, in cui volevo semplicemente mostrare come anche cose apparentemente lontane come una teoria nata per spiegare il comportamento delle macchine a vapore e l'economia e le crisi possano avere legami, e come anche la teoria più astratta (non riesco ad immaginarmi niente di più astratto dell'entropia) possa avere ricadute pratiche nei modi più impensabili: l'importante non sono i concetti base, ma come si riesce a collegarli tra loro. E visto che ho chiesto perdono a tanti, aggiungo a questa schiera tutti i lettori che avrò annoiato con queste mie righe. Alla prossima.

2 commenti:

  1. È divertente che citi Bachelier. In realtà il moto browniano è stato introdotto da Merton e Black&Scholes praticamente in contemporanea negli anni 70. Infatti il modello standard per valutare le opzioni si chiama Black&Scholes, a volte si cita anche il nome di Merton.

    Bachelier (alcuni anni prima... nel 1900) ne ha scritto nella tesi di dottorato, ma non ha ricevuto l'attenzione dovuta.

    Per la precisione

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    1. Beh, rendevo onore a chi ci ha pensato per primo, tutto qui. Black & Scholes hanno ripreso un'idea già avuto da un altro, a cui non è stato reso il merito dovuto.
      Per la fisica.

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