sabato 22 febbraio 2014

La staffetta tra toscani

Renzi annuncia la lista dei ministri del suo governo
Interrompo questo periodo di silenzio sul blog (dovuto a nobili ragioni: prima campagna alle primarie per Civati, poi scazzo) con un post dedicato alla nascita del primo governo a guida Renzi, il più giovane presidente del consiglio nella storia dell'Italia unita (questo primato apparteneva, e non è un precedente benaugurante, a Mussolini...).
Per chiarezza, dico subito che alle primarie del Partito Democratico dello scorso 8 dicembre non ho votato Renzi (ma Civati), così come nemmeno in quelle precedenti per la scelta del presidente del consiglio (dove ho scelto Bersani), e non ho trovato positivo il modo in cui egli ha scaricato il pur da me non approvato governo Letta, e per due motivi. Quando nella DC succedevano queste cose si cercava sempre una scusa politica, mentre il modo qui scelto è stato veramente brusco e rischia di lacerare ancor di più il non proprio granitico Partito Democratico. Inoltre, quello che non andava per me del governo Letta non era la presidenza di quest'ultimo, ma la maggioranza di governo che lo sosteneva e la mancanza di uno scadenzario preciso con le cose da fare prima di tornare subito al voto e porre termine a un'oggettivamente non desiderabile situazione di "larghe intese" (per quanto ridotte dall'uscita di Forza Italia dal governo), e ciò non è stato cambiato. Renzi, dopo aver conquistato il partito, voleva giustamente poter influenzare il governo, e sentiva che con Letta avrebbe rischiato di venire offuscato e trascinato nell'impopolarità, ma il modo scelto poteva e doveva essere migliore.
Questo post però vuole essere dedicato ad una prima (e quindi probabilmente superficiale) analisi della squadra di governo. Se si dà retta alla statistica, questo è il primo governo con un egual numero di ministri uomini e donne, con pochi dicasteri (sedici, di meno ne aveva solo il terzo governo a presidenza di De Gasperi) occupati da elementi con un età relativamente bassa (47 anni, ma questo dato lo cito a memoria). Però, come ho letto su un libro di De Crescenzo, la statistica è quella cosa per cui se si è con la testa nel forno e il culo nel freezer stai mediamente bene; meglio riformulato, ciò significa che i dati vanno interpretati e non solo snocciolati, altrimenti possono dare conclusioni errate.
Massimiliano Cencelli, autore dell'omonimo manuale 
Come diceva Cencelli, i posti da ministro non si contano, ma si pesano: esistono infatti incarichi tradizionalmente più importanti e altri che assumono rilevanza in base al periodo storico. Ad esempio, il Ministero dell'Economia è ovviamente un dicastero chiave in ogni governo; ai tempi della guerra fredda il Ministero della Difesa era probabilmente più importante di quanto lo sia oggi; infine quello delle Pari Opportunità (con tutto il rispetto per le battaglie sull'uguaglianza di genere) è un po' un riempitivo, tant'è che in questo governo è stato soppresso.
Per cui, oltre a dire che il basso numero di ministri è una novità positiva (anche se dovremo aspettare di sapere quanti sottosegretari saranno nominati), per valutare la cifra politica di un governo bisogna quindi individuare gli incarichi più importanti e poi andare a vedere chi li occupa. Nell'esecutivo Renzi ne ho individuati 6: Economia, Interno, Giustizia, Riforme, Esteri, Lavoro. Qui una galleria fotografica con tutti i ministri oggi nominati.
Pier Carlo Padoan, neo-ministro per l'Economia
Il dicastero dell'Economia è stato assegnato a Pier Carlo Padoan, un dirigente dell'OCSE. Il suo profilo è quello di un cosiddetto "tecnico", ossia di un uomo la cui carriera lavorativa non si è svolta principalmente nell'agone elettorale, con però rilevanti contaminazioni "politiche": egli infatti è stato un importante consulente economico della fondazione di D'Alema, Italianieuropei, e sembra sia in ottimi rapporti con Napolitano ed è generalmente ricondotto alla galassia del centro-sinistra.
Questo nome è quindi ascrivibile a pressioni del Presidente della Repubblica, che negli ultimi due governi ha sempre voluto un elemento con esperienza e notorietà internazionale per questo delicato ruolo, pur tuttavia venendo parzialmente incontro alle richieste di Renzi, che di figure tecniche al governo ne voleva il meno possibile (e infatti Padoan è l'unico di questa categoria tra i ministri).
La ministra degli Esteri Federica Mogherini

Speculare a questa filosofia è quindi la scelta del ministro degli Esteri: Federica Mogherini, con conoscenza nel campo della politica estera, è infatti responsabile Europa e Affari Istituzionali della segreteria politica del Partito Democratico, e quindi persona gradita a Renzi e per lui fidata.
Emma Bonino aveva decisamente maggiore esperienza e carisma internazionale, ma non aveva coperture politiche importanti e quindi è stata sacrificata nello scambio tra Quirinale e Renzi su questi due dicasteri significativi. Mi auguro comunque che la sua competenza possa essere premiante (ricordo il caso dei fucilieri italiani intrappolati in India, di assai delicata gestione). In più è stato soppresso il ministero degli Affari Europei, e sarà interessante vedere se tali deleghe saranno prese dalla Mogherini o da Renzi stesso.
La pattuglia del NCD nel governo Letta
Alla politique politicienne si deve la conferma di Alfano come ministro degli Interni: Alfano in particolare voleva conservare questo incarico e in generale il NCD non desiderava variazioni nella sua rappresentanza al governo. È stato quindi più semplice non toccare queste tessere per evitare complicate ripercussioni su tutte le altre caselle, anche a costo di mantenere un ministro che per dubbi diktat economici e oscuri interessi ha espulso la Shalabayeva, senza per questo venire sfiduciato o almeno criticato. Confermati anche Lupi di Comunione e Liberazione, che alle Infrastrutture continuerà a gestire la partita di EXPO 2015, fondamentale per le aziende lombarde legate a questo movimento politico di ispirazione religiosa.
Maria Elena Boschi, ministra delle Riforme
Ovviamente Renzi ha voluto persone di comprovata fiducia e lealtà in due ruoli importanti: il nuovo sottosegretario alla presidenza è il fedelissimo Graziano Delrio, noto soprattutto per essere stato il primo sindaco di Reggio-Emilia non cresciuto nelle file del PCI, mentre il ministro delle Riforme, va a Maria Elena Boschi, già responsabile su questi temi nella segreteria del PD, che in comune con Renzi ha la fulminante ascesa partita dalla Toscana e felicemente conclusasi a Roma passando per la Leopolda, l'evento di riferimento per i sostenitori del neo-premier. Quest'ultimo dicastero assume importanza non tanto per le deleghe ad esso assegnato (il termine riforme è quanto di più generico, vago e vacuamente ripetuto fino all'ossessione ci possa essere in politica, battuto forse di recente solo dall'espressione "buon senso"), ma per la delicatezza della partita con Berlusconi, interlocutore privilegiato in quanto leader dell'altro grosso partito presente in Parlamento (il M5S non ne vuole sapere di partecipare a grandi trattative con le altre forze): tale argomento infatti può essere usato per allungare o accorciare la vita del governo (ad esempio, tramite una legge elettorale che penalizza i piccoli partiti o avviando modifiche costituzionali, che necessariamente richiedono tempi lunghi), e quindi Renzi ha voluto per questa casella una persona fidata. Delrio invece fungerà da guida nelle procedure e nei rituali della politica romana, finora a Renzi essenzialmente sconosciuta nella sua quotidianità.
Forse sempre con l'intento di non giungere allo scontro diretto con Berlusconi, per poterlo sfruttare come sponda politica, si è nominato Andrea Orlando ministro della Giustizia, che lascia così il dicastero dell'Ambiente, a cui era stato messo in realtà inspiegabilmente, se non per dare un contentino all'ala dei bersaniani uscita sconfitta dalle elezioni e vittima più che fautrice delle prime larghe intese. Orlando infatti è stato membro delle commissioni Giustizia e Antimafia alla Camera, e nel 2010 ha provato a instaurare con il PDL un percorso per formulare una condivisa riforma della Giustizia. Ha vinto su altri nomi (es., Gratteri, Pomodoro, Cantone) che potevano essere considerati troppo intransigenti in una casella come quella della Giustizia, su cui Berlusconi e il suo partito hanno semre avuto grande interesse, per evitare le barricate da parte di questi ultimi sul cammino delle riforme, che invece fanno comodo a Renzi per i motivi esposti sopra.



Giuliano Poletti, nuovo ministro per il Lavoro
Chi da Renzi si aspettava dei forti strappi con il mondo più tradizionale della sinistra dovrà probabilmente ricredersi. Va in senso opposto infatti la nomina di Giuliano Poletti, a capo della Lega delle Cooperative, a ministro per il Lavoro. Egli proviene infatti da uno dei tre filoni (le cooperative, appunto), che assieme al sindacato e al partito hanno giocato un ruolo importante nella sinistra italiana, e in termini politici e di amministrazione, e generalmente considerato più vicino alla sinistra più tradizionale alla Bersani. Tale nomina potrebbe far pensare che le misure di Renzi in materia di legislazione del lavoro potrebbero essere meno sgradite a questo mondo di quanto si potesse inizialmente pensare.
La sua presenza è comunque bilanciata dall'incarico allo Sviluppo Economico assegnato a Federica Guidi, ex leader dei Giovani Industriali e importante esponente di Confindustria, anche per tradizione familiare. Queste due nomine dimostrano che Renzi ha ben presente che per governare è meglio confrontarsi con i tradizionali corpi sociali (sindacati, industriali, etc.) piuttosto che scontrarsi con essi.
Dario Franceschini, dai Rapporti col Parlamento alla Cultura
Per quanto concerne gli altri incarichi, stupisce che Franceschini, prima sostenitore di Bersani e poi uno dei grandi nomi che hanno sostenuto Renzi nelle primarie per la segreteria del PD, sia stato messo in un dicastero tutto sommato marginale come quello della Cultura. A meno che egli non voglia incarichi più defilati per poter meglio lavorare nel partito e quindi gestirlo, non comprendo questa nomina.
Insomma, il Renzi premier ha compreso che una rottamazione totale, almeno per il momento, non era possibile. Ha capito che per governare non si può fare la guerra a industriali e sindacati (consapevolezza per me positiva in realtà) e che bisogna cedere su qualcosa con i partiti alleati, cosa necessaria per quanto sgradita. La presenza femminile in dicasteri significativi è fortunatamente rilevante, pur se non nelle stesse proporzioni del governo nel suo complesso, anche con presenza di elementi tutto sommato giovani (ad esempio, Mogherini e Boschi). Non condivido per niente, invece, l'atteggiamento troppo condiscendente nei confronti di Berlusconi mostrato nella scelta del ministro della Giustizia. Intendiamoci, per me scegliere un magistrato non sarebbe stata garanzia di qualità, ma la nomina di Orlando è stata fatta chiaramente per poter mantenere un doppio binario: quello con Alfano per la gestione del governo e quello di Berlusconi per le riforme, con lo scopo di mettere contro costoro e quindi usare uno dei due per diminuire l'altro a seconda della necessità. Se c'era una cosa buona del governo Letta era che era riuscito a mettere in un angolo politicamente Berlusconi, pur con l'effetto collaterale di rendere importante un tutto sommato insignificante Alfano. Renzi lo ha riesumato prima per innervosire Alfano e mettere in difficoltà il governo Letta, ora per cercare di frenare il leader di NCD nelle sue pretese al governo. Attenzione però: è difficile pensare che i due non si presentino uniti alle prossime elezioni, e quindi sarà molto difficile dividerli per davvero. Se a Renzi ciò riuscisse, sarebbe forse uno dei suoi più grandi successi elettorali. 
Speriamo però che possa vantarne altri, altrimenti non so davvero quali possano essere le conseguenze di un altro fallimento.
Come premio per chi ha avuto la pazienza di arrivare alla fine questo lungo post, offro un video di Crozza-Renzi, in cui si parla del programma (ah, i contenuti, altro ritornello ripetuto all'infinito nella politica di oggi...)



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